"Oh! Valentino vestito di nuovo,
come le brocche dei biancospini!"
Valentino, G. Pascoli (1903)
Nome botanico
Crataegus monogyna Jacq. e Crataegus levigata (Poir.) DC. (Rosaceae). deriva il suo nome dal vocabolo greco "kratos", che indica la forza e deriva dalla durezza del suo legno. La velocità con la quale tende a crescere e la "invalicabilità" del suo intreccio hanno reso, per lungo tempo, il biancospino uno dei principali strumenti per la divisione-separazione dei campi. In ambito fitoterapico si adoperano foglie e sommità fiorite.
Componenti principali
I componenti principali del biancospino sono rappresentati da flavonoidi (fino al 2%) - iperoside, vitexina, luteolina, rutina, apigenina, etc. - e da procianidine oligomere. La droga medicinale deve contenere non meno dell'1,5% di flavonoidi, espressi come iperoside e calcolati con riferimento alla droga essiccata. Altri componenti del fitocomplesso del biancospino sono : acidi triterpenici pentaciclici, acidi fenocarbossilici, amine, aminopurine e steroli.
Farmacocinetica
Dei componenti attivi del biancospino, le proantocianidine sono altamente biodisponibili e si distribuiscono nei tessuti cardiaci in quantità pari al 30% della dose somministrata per via orale: vengono assorbite velocemente a livello intestinale, raggiungono il massimo livello ematico dopo 45 minuti e la loro emivita è di circa 5 ore. I flavonoidi e i loro glicosidi sono invece assai meno biodisponibili e il loro assorbimento a livello intestinale è minimo.
Attività biologiche e impieghi clinici
Avvertenze, Interazioni ed effetti indesiderati
Il biancospino va usato con prudenza in pazienti portatori di spiccata bradicardia, di blocchi seno-atriali e di blocchi atrio-ventricolari. Non sono noti studi clinici controllati in donne in gravidanza e durante l'allattamento: in conformità con la prassi medica generale, ilo prodotto non deve essere impiegato senza prima aver sentito il parere di un medico.
In virtù del suo stesso meccanismo di azione, il biancospino può potenziare l'attività di farmaci inotropi, antiipertensivi, antianginosi e antiaritmici somministrati contemporaneamente.
Il rari casi può provocare lievi epigastralgie, reversibili con la sospensione del trattamento.
Storia e tradizione
Nelle tradizioni più antiche il biancospino veniva considerato una manifestazione delle forze di Venere e Marte riunite insieme in un unico elemento. Pertanto lo si associava all’idea dell’amore, della fertilità, della vita e della speranza. Di fiori di biancospino si adornavano le spose e le loro damigelle e le infiorescenze venivano poste sotto il cuscino per favorire sogni propiziatori agli incontri d’amore. I Romani lo dedicarono a Flora, dea della primavera. Solo in seguito, nei tempi più recenti, è stato circondato da valenze drammatiche, come rappresentazione dell’ inganno d’amore e della morte. Nelle saghe celtiche si racconta che Mago Merlino si fosse follemente innamorato di Viviana alla quale trasmise il suo sapere, pur sapendo che ne sarebbe stato successivamente tradito. E così avvenne: dalla bella Viviana Mago Merlino fu trasformato in un biancospino mediante un sonno ipnotico. Con le spine di un biancospino si dice fosse stata preparata la corona di Gesù sulla croce e pare che Giuseppe d’Arimatea abbia portato con sé in Gran Bretagna il suo bastone che, piantato al suolo al suo arrivo nella nuova terra, sulla collina di Glastonbury, divenne un bellissimo albero di biancospino. Sacro era per la famiglia reale Inglese, alla quale ogni anno ne veniva offerto in dono un ramoscello in ricorrenza della festa di Natale. In Francia, durante il periodo della rivoluzione, fu scelto come simbolo della libertà tanto da punire chiunque ne distruggesse un esemplare.
Hawthorn leaf and flower - Crataegi folium cum flore. European Pharmacopoeia, Council of Europe
Steinegger & Hansel. Textbook of pharmacognosy and phytopharmacy. New York: Springer-Verlag 1988
Furey A, Tassell M. Towards a systematic scientific approach in the assessment of efficacy of an herbal preparation: Hawthorn. Eur J Heart Fail 2008
Boncompagni, Bianchi, Giua. "Guida bibliografica ai più noti fitoterapici" 2010
La scienza sta dimostrando che la cannabis terapeutica è in grado di alleviare e talvolta reprimere i sintomi del morbo di Crohn.
L'esperienza di migliaia di pazienti che utilizzano cannabis terapeutica riporta che questo tipo di trattamento è molto efficace per trattare e reprimere il dolore, l'infiammazione i carmpi e la nausea. Ogni anno nuovi studi confermano che l'utilizzo controllato di cannabis terapeutica può essere una concreta possibilita di terapia ed una alternativa o integrazione ai trattamenti tradizionali con farmaci di sintesi.
Purtroppo nonostante i buoni propositi, c'è ancora molta reticenza e disinformazione, infatti, nel sito della fondazione americana “Crohn's and colite foundation of America”, la possibilita di cura con cannabis non è neanche menzionata e definisce il trattamento con gli oppiacei l'unico trattamento disponibile per alleviare i sintomi del dolore.
Si pensa che la malattia autoimmune del sistema digestivo sia incurabile e che spesso la degenerazione di questo tipo di patologia possa portare ad un intervento chirurgico.
1,4 milioni di Americani hanno diagnosticata una qualche sindrome di questa malattia e molto spesso i farmaci prescritti sono FANS, derivati cortisonici o analgesici narcotici.
Curare la malattia infiammatoria intestinale con i farmaci esistenti è attualmente una delle più grandi sfide nel campo della gastroenterologia. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24530133
Nel 2011 uno studio autorevole ha sottoposto un cospicuo numero di pazienti affetti da morbo di Crohn al trattamento con cannabis terapeutica. La maggior parte di questi ha riscontrato un effetto benefico nel controllo dei sintomi. Dati incoraggianti sono stati riscontrati anche nei pazienti con colite ulcerosa.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4126607
Alcuni ricercatori nel 2014 portando avanti uno studio prospettico controllato con placebo hanno dimostrato quello che in gran parte era stato anticipato da rapporti aneddotici e dalla storia di una piante che anche in antichità veniva utilizzata per la cura dei disturbi intestinali, vale a dire che la cannabis produce significativi benefici nei pazienti con malattia di Crohn. I meccanismi del perchè di questo effetto è ancora poco chiaro, ma probabilmente l'effetto è dovuto ad una attivazione periferica e centrale dei recettori CB1 e CB2. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4076530/figure/F1
Nel 2002, i ricercatori hanno osservato che il THC “modula la risposta immunitaria dei linfociti T” e questo potrebbe spiegare l'efficacia antiinfiammatoria di questo composto. Il potenziale terapeutico è interessante anche per altre patologie come sclerosi multipla e artrite. http://www.cannabis-med.org/english/bulletin/ww_en_db_cannabis_artikel.php?id=133&search_pattern=crohn#10
Nel 2004 ricercatori tedeschi hanno osservato che il sistema cannabinoide svolge un ruolo fondamentale nel controllo del processo infiammatorio dell'intestino crasso (Colon).
Nel 2013 si è scoperto che un altro importante cannabinoide il Cannabidiolo (CBD) che sembra essere coinvolto nel processo di spegnimento dell'infiammazione. Il CBD riduce, nel caso della patologia del morbo di Crohn, il danno alla mucosa intestinale causata dall'interleuchina pro-infiammatoria 17A. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24238999
Nel 2014, si è notato che nei topi il potenziamento del sistema endocannabinoide porta alla scomparsa totale della colite ulcerosa
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24530133
Un questionario del 2011 che ha coinvolto 291 pazienti israeliani ha dimostrato che l'utilizzo di cannabis fosse più comune di quanto si pensasse, infatti il 33% dei pazienti con colite ulcerosa e il 50% dei pazienti con morbo di Crohn utilizzava cannabis per alleviare i sintomi dei dolori addominali, della diarrea e della riduzione di appetito.
Sempre in Israele, uno studio del 2011 ha evidenziato che dei 30 pazienti coinvolti che utilizzavano cannabis , 21 riportavano un significativo miglioramento dello stile di vita. La media dell'indice Harvey Bradshaw migliorava da 14 a 7. La necessità di utilizzare anche altri farmaci risultava significativamente ridotta.
Dopo 3 anni di trattamento con cannabis terapeutica, solo 4 pazienti hanno continuato l'uso dei corticosteroidi e solo in 2 sono ricorsi all'intervento chirurgico. Gli autori dello studio hanno quindi espresso un forte parere positivo vista la riduzione delle sintomatiche della malattia e dell'associazione di farmaci di sintesi o interventi chirurgici.
Nel 2013 dei ricercatori hanno dimesso con remissione completa della malattia di Crohn 5 soggetti su 11 in trattamento con cannabis terapeutica. Lo studio prospettico ha coinvolto 21 individui controllati con placebo. Lo studio ha dimostrato anche che un trattamento di 8 settimane con una varietà di cannabis ricca di THC produce effetti migliori dei corticosteroidi in 10 pazienti su 11.
I pazienti assumevano la cannabis non solo tramite inalazione, ma anche in forma di supposte o prodotti commestibili.
Proprio inerente all'inalazione uno studio pubblicato nel 2013 riporta che l'assunzione tramite vaporizzatore non riporta significativi effetti collaterlai e che se il paziente tollera questa sensazione psicoattiva causata dal THC si riesce a stimolare maggiormente l'appetito e la qualità del sonno migliora.
Lo studio riporta anche che la cannabis è meno tossica degli oppiodi e non ha ripercussioni sul fegato come invece hanno molti farmaci di sintesi come i comunissimi FANS.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23648372
Questo argomento molto delicato trova ampio spazio su internet e se non si filtrano le giuste informazioni si può trovare tutto e il contrario di tutto. Per questo cito questo studio pubblicato nel mese di Giugno 2015, redatto da due scienziati che hanno dedicato la loro vita di ricercatori nell'approfondire le potenzialità della Cannabis nella lotta al cancro.
Come si legge, le prospettive sono incoraggianti, ma molta strada deve essere ancora percorsa, perché gli studi fatti fino ad oggi sono su cellule tumorali coltivate in vitro o su animali.
Clinical Pharmacology & TherapeuticsVolume 97, Issue 6,
Cannabis in Cancer Care
DI Abrams1 and M Guzman2
1Hematology-Oncology, San Francisco General Hospital, Department of Medicine, University of California San Francisco, San Francisco, California, USA;
2Biochemistry and Molecular Biology, School of Biology, Complutense University, and Centro de Investigacion Biomedica en Red sobre Enfermedades Neurodegenerativas (CIBERNED), Madrid, Spain.
CANNABINOIDS AS ANTICANCER AGENTS
….Cannabinoids may exert their antitumor effects by a number of different mechanisms, including direct induction of transformed cell death, direct inhibition of transformed-cell growth, and inhibition of tumor angiogenesis and metastasis….Despite these impressive in vitro and animal model findings regarding the potential antitumor effects of cannabinoids, there is still no solid basis for ongoing claims by proponents of highly concentrated cannabis extracts or oils that these preparations can “cure cancer.”…… Although the in vitro and animal evidence is intriguing, there have not yet been any robust human studies
investigating cannabis as an anticancer agent that would warrant advising patients to forego conventional therapy in favor of using a high-potency cannabis extract. Patients who choose to delay conventional therapies in the hopes of benefiting from a trial of cannabis oil against their cancer risk the possibility of having a potentially treatable cancer become incurable. As the preclinical evidence suggests that cannabinoids might enhance the antitumor activity of conventional chemotherapeutic agents as well as ameliorate
associated side effects, the addition of cannabinoid-based preparations to standard cancer therapy should not be discouraged by the treating oncologist.